Un tempo pareva che il bullismo nelle scuole fosse solo un problema americano o dei Paesi del Nord Europa.
Supponendo che questa impressione corrispondesse alla realtà (il che è discutibile), beh, quei tempi sono finiti per sempre e oggi dobbiamo fare i conti con un fenomeno che è in crescita anche da noi.
Non è facile affrontare efficacemente i bulli. Note e sospensioni non sembrano funzionare granché, anche perché i bulli le prendono come medaglie guadagnate sul campo, per così dire.
Un po’ come succede, se ci passate il paragone, quando i Comuni mettono sulle strade degli indicatori di velocità per dissuadere gli automobilisti dal pigiare sull’acceleratore: i ragazzini usano i display per fare delle gare a chi va più forte in motorino…
Che fare, dunque?
Maria Grazia Battaglini, la preside di un istituto tecnico di Portoferraio, sull’isola d’Elba, ha avuto un’idea che forse può rivelarsi quella giusta. Ha deciso che per i ragazzi che si rendono responsabili di comportamenti aggressivi e vessatori nei confronti dei compagni la punizione più efficace sia quella di costringerli a fare volontariato a favore delle persone più sfortunate, per esempio i malati di Alzheimer.
Più nello specifico, la punizione prevede lo svolgimento di un certo numero di ore di servizio sociale in un centro per anziani. Il compito dei bulli in punizione è aiutare i malati nelle loro faccende quotidiane.
Non basta, perché quando tornano in classe dopo aver “scontato la pena” i ragazzi devono anche descrivere l’esperienza ai loro compagni.
La strategia qui è semplice: si tratta di costringere i bulli a esprimere con le parole quel che gli è successo durante l’esperienza al servizio degli anziani.
In altri termini, si cerca di abituare i bulli a esprimersi con le parole anziché con i pugni. Anche perché, come sa chi fa psicoterapia, parlare delle proprie esperienze aiuta ad oggettivarle e ad affrontarle con maggiore consapevolezza.