Intercalari ricorrenti mentre si parla. E niente…è una cosa comune. Più di quanto si pensi. Ma significa qualcosa usarli? E niente…può significare qualcosa a livello psicologico o essere qualcosa di transitorio.
Quello sopra è un esempio pratico di ciò che vi racconteremo in questo articolo.
E niente è l’intercalare utilizzato nell’incipit di questo discorso. Un’espressione apparentemente senza alcun significato, messa lì come se fosse una pausa, durante la quale raccogliere il pensiero.
Tutti abbiamo un qualche intercalare che usiamo mentre si parla. Alcuni sono proprio evidenti, altri passano inosservati.
Giuseppe Giusti, scrittore e poeta italiano dell’800, scriveva a proposito:
Tutti quanti nel parlare
ci si casca, o più o meno,
in un dato intercalare
che ci serva di ripieno.
“Parlo chiaro e dico il vero”
era quello di Gian Piero.
Perché usiamo intercalari ricorrenti?
Una maggiore frequenza si riscontra in chi parla in pubblico frequentemente e per minimizzare la tensione utilizza gli intercalari per mantenere la concentrazione. L’utilizzo è inconsapevole finché non ce ne accorgiamo da soli oppure qualcuno ce lo fa notare, spiazzandoci.
Lo inseriamo quando, parlando con qualcuno non sappiamo cosa dire ed ecco che buttiamo lì un: in definitiva, giustappunto. Inciso effettivamente superfluo. Oppure: praticamente, sostanzialmente, sicuramente, essenzialmente, ecc. Avverbi altrettanto superflui. Può saltar fuori un’esclamazione: santa pazienza! mondo ladro! accidenti! ecc. Usiamo una domanda pleonastica: ma ti pare? dico bene? non è vero? ecc. Si inseriscono come un’aggiunta altrettanto inutile nel discorso espressioni quali: in definitiva, in sostanza e così via (anche questa dicitura può essere un intercalare, n.d.r.).
Altri usi dell’intercalare e risvolti
Non usiamo gli intercalari solo in situazioni di tensione e in quelle in cui serve raccogliere il filo di un discorso. Possono essere anche semplici vezzi. E questi vezzi possono sparire da soli con il tempo se acquisiti in giovane età (per gregarismo o per moda ad esempio). Oppure fissarsi, fino ad utilizzarli in età adulta inconsapevolmente. La scrivente è un esempio pratico. A scuola la professoressa di matematica inseriva continuamente tra le frasi il: praticamente. Oltre a diventare il suo soprannome, cosa che accade frequentemente a chi è vittima degli intercalari, tante volte l’ho sentito che quell’intercalare inconsciamente è entrato nel mio lessico. Un risvolto dell’utilizzo altrui abbastanza frequente.
Il risvolto psicologico dell’intercalare
L’insicurezza:
Partiamo da uno degli ultimi esempi fatti. L’Ok. Spesso usato dai più giovani si riverbera anche negli adulti. Si potrebbe assimilare ad un: non è vero? va bene? E denota insicurezza, conoscitiva ed espressiva, che cerca il consenso dell’interlocutore mentre ci parla.
La stessa insicurezza si esprime con un: non c’è problema.
L’insicurezza si esprime anche nel cercare di assicurarsi il consenso a quanto si dice dell’interlocutore: non è vero? non è così?
Esitazione o difficoltà nell’esprimere un concetto:
Si usano questi intercalari per prendere tempo, trovare la concentrazione e dare continuità al filo logico del discorso: praticamente, sostanzialmente, naturalmente, sicuramente, essenzialmente, ecc.
Paura di non essere capiti oppure di essere fraintesi:
Ecco che spuntano: ovvero, ovverosia, ovvero detto, non so se mi spiego.
oppure paura dell’imprecisione di quanto si dice: all’incirca, a occhio e croce, non so se mi sbaglio.
Paura di perdere l’attenzione dell’interlocutore:
Magari l’argomento è interessante ma chi parla si rende conto che rischia di perdere l’attenzione di chi ascolta. Ecco che appare: in poche parole, per farla breve, in parole povere, insomma, in buona sostanza, detto in soldoni.
Paura che il proprio dire sia ben chiaro ed esposto:
Ed ecco che salta fuori tra un concetto e l’altro il: giustappunto.
Altri intercalari ricorrenti:
Timore di non riscontrare consenso altrui e per coinvolgerlo:
Utilizzato quasi per spiegare il concetto magari non condivisibile o azzardato: diciamo, non so se mi spiego.
Sempre per ottenere il consenso da un interlocutore che potrebbe non condividere quanto viene detto e tentare di convincerlo: in certo qual modo, in un certo senso, da un certo punto di vista, a conti fatti.
L’atteggiamento di superiorità:
Esempi tipici: ma dico io, siamo seri! ma domando e dico!
Per instillare il dubbio in chi ascolta e avvalorare la credibilità di quanto si dice:
Questi intercalari appaiono spesso quando qualcuno sa di dire qualcosa a cui la massa avrà difficoltà a credere (perché magari sono argomenti di cui non si può parlare apertamente). Di conseguenza, pur essendo evidente la veridicità e la plausibilità di quanto si espone, capiranno solo quelli con una mente aperta e sveglia: so io quello che dico, chi sa mi capirà, qui lo dico e qui lo nego, noi ci intendiamo, intendiamoci!
Quando si vuole sottolineare l’inconfutabilità di ciò che si dice:
Solitamente l’intercalare più frequente è: morale della favola ma anche alla fine della partita, c’è poco da fare.
Un modo più aggressivo per sottolineare il concetto ad un pubblico non ben disposto è l’intercalare: piaccia o non piaccia, che vi piaccia o meno.
Quando in realtà non vale la pena esprimere un concetto ma lo si fa lo stesso:
Al contrario dell’esempio che precede, in questo caso il soggetto sta bluffando. Non ha argomenti e prove sufficienti da avvalorare quanto dice e allora ecco che spuntano: e via dicendo, e compagnia bella, eccetera eccetera.
In conclusione:
Si potrebbe continuare all’infinito ma rischieremmo di perdere la vostra attenzione. Tirando le somme, di intercalari ricorrenti ce ne sono tantissimi, noi ve ne abbiamo presentati alcuni ma ci sono tanti sinonimi altrettanto usati.
E voi usate gli intercalari quando parlate?
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